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Cagni come Rota: porta il Piacenza ad una storica salvezza, poi se ne va

STAGIONE 1995/1996

 

SERIE A

 

Riconquistata in scioltezza la massima serie, si ripropone la sfida di restarvi per più di una stagione, l’ultimo tassello mancante alla scalata dalla C2 iniziata nel 1983. Cagni viene confermato per la sesta stagione consecutiva, dopo essere stato a un passo dalla panchina dell’Inter di Moratti che poi si terrà controvoglia Ottavio Bianchi.

Rispetto alla prima edizione del Piacenza in serie A si cambia strategia, l’organico della promozione viene rivoluzionato perché non ritenuto più in grado di dare adeguate garanzie. Sono a fine ciclo, e quindi vengono ceduti, alcuni elementi storici: Iacobelli, Suppa, Papais e soprattutto capitan De Vitis, che già prima della fine del campionato vinto si era accordato con il Verona. Pippo Inzaghi in un primo momento è riconfermato, poi il Parma si inserisce nella questione del rinnovo contrattuale e con argomenti convincenti (6 miliardi di lire in contropartite tecniche) strappa al Piacenza il giovane bomber.

Niente stranieri anche questa volta: Cagni non vuole scarti o scommesse da far acclimatare, l’unica apertura è per il tedesco Bierhoff (in Italia da anni) che però sceglie Udine. Marchetti punta su elementi come sempre in cerca di riscatto, ma già conoscitori della categoria e senza spese folli. Mirko Conte per la difesa, le eterne promesse Corini e Angelo Carbone a centrocampo, il cavallo di ritorno Cappellini in attacco. Manca un centravanti-boa perché Silenzi rifiuta il trasferimento, e al suo posto arriva dall’Ancona (via Parma) Nicola Caccia, giocatore tecnicamente valido accreditato però come attaccante esterno. Per un infortunio di Cappellini Cagni lo inventerà punta centrale quasi per necessità, con ottimi risultati. Con Caccia arriva anche l’interno Di Francesco dalla Lucchese: sono amici da una vita, saranno anche tra i migliori biancorossi della stagione.

C’è fiducia, 7.815 abbonamenti lo testimoniano, ma la partenza è in…retromarcia. Profondamente rinnovato nei ranghi, con uno stile di gioco da ridisegnare soprattutto in attacco e una panchina cortissima, il Piacenza inizia con otto gol subiti in due giornate e l’eliminazione in Coppa Italia per mano del Forlì (serie C2). Lo 0-0 con l’Inter dà fiducia, la vittoria sul Bari (doppietta di Caccia) apre la strada alla rincorsa alla salvezza. Manca la continuità di risultati, soprattutto a causa della notevole differenza tra rendimento interno ed esterno: alla Galleana cadono Samp e Roma, in trasferta si può perdere da chiunque. La sconfitta di Torino è dolorosa per le proporzioni e perché arriva nello scontro diretto con i granata, si rimedia battendo la Cremonese nel derby e impattando a Padova prima di Natale. È una prima parte di campionato stentata, in cui anche Cagni fatica a raccapezzarsi di fronte a un Piacenza tecnicamente valido ma povero di carattere e soggetto a continue amnesie difensive soprattutto sui calci piazzati.

La musica cambia nel girone di ritorno, quando si conquistano 21 punti contro i 16 dell’andata grazie anche a una miglior tenuta della difesa. Sul terreno amico lasciano lo scalpo Lazio, Inter (memorabile il tuffo di testa di Carbone nella nebbia allo scadere) e Parma, ma fuori casa si fatica sempre. Una striscia negativa di un punto in quattro partite in primavera riporta i biancorossi in piena bagarre: serve un colpo di reni in vista degli scontri salvezza. Piovani giustizia il Torino condannandolo alla B, poi Taibi para tutto nel derby affossando le residue speranze della Cremonese. La larga vittoria sul Padova e il pari di Udine portano alla matematica salvezza, ottenuta addirittura con una giornata di anticipo. La festa ha il sapore della malinconia: l’addio di Cagni, che era nell’aria, viene confermato ufficialmente dallo stesso allenatore. Non ci sono più gli stimoli, va a cercare una nuova avventura a Verona; lascia dopo sei anni intensissimi, fatti di trionfi e qualche boccone amaro di troppo, con il suo ultimo regalo, la prima salvezza in serie A.

 

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