Luigi LOSCHI
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   * 4/4/1934 Castell’Arquato (Pc) L’uomo forte degli anni Settanta entra in
  scena in realtà negli anni Sessanta, quando il Piacenza è impegnato a
  riemergere dalla palude della serie D sotto la gestione Bertuzzi. Giovane e
  rampante costruttore edile, è prima vicepresidente e poi, dopo la lunga stasi
  delle dimissioni di Bertuzzi, si insedia al vertice
  della società nel febbraio 1965. Il suo è un governo breve (fino all’estate
  successiva), ma già fortemente profetico: litiga con Meregalli perché vorrebbe vedere in campo i due
  giovani interisti Rossi e Moroni, lo licenzia alla vigilia dell’ultima giornata,
  lo richiama quasi a furor di popolo. In effetti non
  gli dispiace affatto intromettersi nelle questioni tecniche e di mercato, e
  questo apparirà evidente qualche anno dopo. Lascia la presidenza a Romagnoli nel 1965, affiancandolo come vice per due
  anni, poi acquista la società nel gennaio 1972 inaugurando una lunga era
  segnata dalla sua forte personalità. Vuole un Piacenza da serie B capace di
  coniugare gioco e risultati e lo fa da passionale, con metodi autoritari e
  idee tutte sue. Non crede, ad esempio, nel settore giovanile e preferisce
  pescare a piene mani dalle grandi squadre, soprattutto dall’Inter a cui è
  particolarmente legato. Crea Cella come allenatore,
  poi lo sostituisce nel 1974 assumendo Gibì Fabbri: sarà il suo Piacenza più bello, quello
  della promozione dei record. L’idillio col tecnico però dura poco. Litigano
  sulla cessione di Zanolla, su Penzo e sul mancato acquisto di Jacovone, sul modo di
  giocare e su quelle cinque sconfitte di fila che riportano il Piacenza in
  serie C. Loschi ha un attimo di dubbio poi resta in sella, prova a rilanciare
  con Invernizzi, Galbiati
  e Fornasaro ma non
  riesce più a ricostruire il giocattolo. Subentrano i primi sintomi di
  stanchezza: un po’ per la storica freddezza della città e un po’ per il suo
  modo di fare, è rimasto da solo a portare avanti l’onere non solo economico
  del Piacenza. Un paio di volte minaccia di non iscrivere la squadra, poi nel
  1980 passa la mano a Mori e alla sua cordata. Non può
  star fermo a lungo: rientra nel 1981 in grande stile, come direttore
  sportivo. Ha grandi progetti, parla di serie B in tre anni, ma non c’è una
  lira e si trova le mani legate. Nel novembre 1982 molla tutto alla sua
  maniera, con uno spettacolare colpo di teatro che porta all’ingaggio di ben
  sei giocatori. Poi si defila, limitandosi al ruolo di tifoso illustre.  |