Gianpietro MARCHETTI

 

 

 

* 22/10/1948 Rudiano (Bs)

 

A Piacenza, dopo oltre vent’anni dal suo addio, ha ancora la nomea di Re Mida del calciomercato: forse esagerata, perché qualche cantonata l’ha presa anche lui, ma innegabilmente è stato uno dei principali artefici del Grande Piacenza nel suo ruolo di direttore sportivo. Già terzino e mediano della Juventus, sbarca in riva al Po proveniente dalla Triestina nell’agosto 1988 su indicazione del dottor Brolis che ha ormai deciso di passare la mano. Si trova la squadra già fatta e non può intervenire più di tanto per evitare la retrocessione, poi porta Rumignani per la panchina e fior di giocatori in campo ma la serie B non arriva. Il terzo anno è quello buono: scova nella Centese in serie C2 un allenatore giovane e bresciano come lui, Gigi Cagni. Si intendono a meraviglia e non solo per questioni di dialetto, pezzo per pezzo si costruisce il miracolo della serie A. Mette nel lavoro un’abnegazione feroce, uno dei fattori che contribuisce a costruire l’immagine di un anti-personaggio a tutto tondo insieme alla proverbiale parsimonia, alla scarsissima loquacità, alle sigarette e al terrore degli aerei. Si specializza in giocatori presi a poco prezzo da altre piazze e vogliosi o bisognosi di rilancio, con quella fame che Cagni chiede alle sue squadre e di cui Totò De Vitis è il simbolo. Avalla in pieno la scelta di non cercare stranieri, anche perché mancano le strutture e gli osservatori: conta ancora la conoscenza del calciatore e la sua storia, l’aspetto umano unito a quello tecnico. Portano la sua firma anche le tre salvezze in serie A degli anni Novanta, con un occhio al bilancio (nel 1996 conduce un mercato quasi a costo zero) e uno al campo. È e rimane un uomo dell’Ingegnere, con Stefano va d’accordo, con Fabrizio e la sua voglia di fare il salto di qualità un po’ meno. Dopo la promozione del 2001, la sua quarta a Piacenza, lascia spazio all’”uomo nuovo” Fulvio Collovati. Farà ancora brevi incursioni a Napoli e Modena prima di sparire dalle scene calcistiche, a conferma del fatto che il mondo del pallone, ormai pienamente mediatico, globalizzato e in balia di dinamiche economiche, è cambiato e non fa più per lui.